La poesia “che fa rumore” dei peperoni cruschi

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Fettuccine con crema di peperone crusco, dadini di melanzana fritti, mozzarella di bufala e oro rosso
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di Chiara Caprettini

Eccellenza gastronomica della Lucania, il peperone crusco racchiude in sé storia, tradizioni e tempra di questo antico territorio

Gli piaceva scherzare, amava provocare risate, soprattutto a tavola. Adorava l’ilarità contagiosa, solare e insieme salace, mescolando manicaretti e gladiatori, sapori e frecciatine dall’impronta teatrale, divertenti battute a seri sermoni, ricette culinarie ad allusioni morali elevate. Parliamo di Quintus Horatius Flaccus, noto come Orazio (65 – 8 a.C.), uno dei più significativi poeti romani, nato a Venosa, nell’odierna Basilicata.

Non fu l’unico letterato ad avere origini lucane: seguirono nei secoli nomi di grande portata, ma a lui, al sommo maestro di poesia e di retorica, sono legate le radici più profonde di un territorio antico – la Lucania – in cui si esprime il senso più autentico della tradizione, che contraddistingue la regione ancora oggi. Con queste prerogative possiamo ora dare un valore culturale oltre che gustativo a un prodotto straordinario della terra lucana, il Peperone di Senise IGP.

Origini esotiche Originario delle Antille, il peperone rosso – conosciuto anche come “Oro Rosso” – è giunto in Europa nel XVI secolo, in particolare nella zona di Senise (un piccolo centro in Basilicata alle porte del Parco Nazionale del Pollino) dove ha trovato un habitat simile a quello originario, grazie ai terreni fertili, al microclima particolarmente favorevole e alle abbondanti riserve idriche.

Le diverse tecniche di coltivazione e di lavorazione si sono poi tramandate di generazione in generazione, fino a essere fissate, a partire dal 1996, nel regolamento che disciplina anche le attività dei produttori aderenti al Consorzio di Tutela dei Peperoni di Senise IGP. Peperoni rossi fritti Il peperone crusco rappresenta uno dei piatti lucani per eccellenza: è il peperone rosso dolce che viene essiccato e fritto per pochi secondi in olio; l’escursione termica fa sì che l’ortaggio diventi “crusco”, cioè croccante (in dialetto, zafaran crusck).

Il suo gusto unico, leggermente piccante ma insieme dolce, fa di questo prodotto un’eccellenza gastronomica, un fiore all’occhiello che a testa alta si inserisce in una tradizione non soltanto antichissima ma degna di uno spessore culturale che lo allaccia a quelle preziose origini letterarie e poetiche di una terra intensa, forte, dolente e nostalgica, appassionata e ancor sempre piccante, come nei versi di Orazio.

Un prodotto da difendere, da diffondere, da mangiare. Ve lo assicuriamo: un crusco tira l’altro!